Il consenso informato, da intendersi come il complesso specifico di informazioni che il sanitario deve fornire al paziente circa il trattamento medico, con rappresentazione di rischi e benefici, è divenuto pacificamente un diritto costituzionalmente garantito.
La normativa e la giurisprudenza ne hanno valorizzato la rilevanza di fronte all’oggettiva pericolosità ed incertezza delle pratiche mediche.
In questi termini la Corte Cost., 23 dicembre 2008, n. 438, ha avuto modo di specificare come il consenso informato costituisca il momento «di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente art. 32, secondo comma, Cost.».
A fronte di quanto sopra, sarà appena il caso di dire che il consenso informato, in base alla giurisprudenza uniforme, deve essere reale ed effettivo, oltre che attuale, dovendosi escludere la rilevanza del c.d. consenso presunto, ovvero quello mancante ma che si ritiene sarebbe stato prestato se il paziente avesse potuto farlo (cass. Civ. 20984/12 ex pluris/- Contra Cass. Civ. 45976/03).
Ma ciò che in questa sede si vuole sottolineare è l’autonoma rilevanza dell’illecito per violazione del consenso informato rispetto alla correttezza o meno del trattamento eseguito.Sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo in condizione di acconsentire al trattamento consapevolmente (Cass. 20984/12). Pertanto, l’omessa o non adeguata informativa configura una responsabilità autonoma ed indipendente dalla valutazione della diligente esecuzione della prestazione medica e, addirittura, indipendentemente dall’esito peggiorativo (Cass. Civ. III 2253/13-24742/07, della quale si riporta il rilevantissimo passaggio: “la responsabilità del medico per violazione dell’obbligo contrattuale di porre il paziente nelle condizioni di esprimere un valido ed efficace consenso informato è ravvisabile sia quando le informazioni siano assenti od insufficienti, sia quando vengano fornite assicurazioni errate in ordine all’assenza di rischi o complicazioni derivanti da un intervento chirurgico necessariamente da eseguire, estendendosi l’inadempimento contrattuale anche alle informazioni non veritiere”).
Ai fini della configurazione della responsabilità del medico per omessa o inesatta informazione, infatti, è del tutto indifferente che il trattamento medico sia stato eseguito correttamente o meno, dato che lo stesso trattamento è stato comunque eseguito in violazione tanto dell’art. 32, 2º co., Cost., quanto dell’art. 13 Cost. e dell’art. 33, l. 23 dicembre 1978, n. 833 (Cfr. Cass., 14 marzo 2006, n. 6444, in Giur. it., 2007, 343, con nota di PETRI) e il paziente ha conseguentemente perso il diritto inviolabile di accettare o rifiutare il trattamento.
Pertanto, per tutto quanto già sopra argomentato, non vi è dubbio che la violazione del dovere di informazione e di autodeterminazione sussista anche nel caso in cui l’intervento chirurgico abbia avuto un esito fausto, e in assenza di un danno biologico. In precedenza la giurisprudenza, peraltro non in modo costante, affermava che l’inadempimento dell’obbligo informativo non era idoneo, da solo, a fare sorgere l’obbligazione risarcitoria. A tal fine si riteneva necessario che alla lesione dell’interesse, costituzionalmente rilevante, all’autodeterminazione, si accompagnasse una lesione alla salute.
Attualmente invece la giurisprudenza maggioritaria afferma che la mancanza di valido consenso informato determina, comunque, il risarcimento del danno sia per la privazione o la compromissione della libertà di autodeterminazione, che, nell’ottica della funzione riparatoria della responsabilità civile, costituisce già di per sé una perdita risarcibile.